Sono un freelance. Lo sono per spirito ed anche per scelta di vita.
Quando mi laureai scelsi di venire a Roma, nonostante all’epoca un amico me lo sconsigliò fortemente. Lui ha girato, di realtà diverse ne ha viste, avrà avuto l’esperienza dalla sua.
Ma noi calabresi, come diceva Matteo De Augustinis, siamo gente testarda.
Decisi di venire a Roma.
Della città ti innamori, non credo ne esista una più bella ed allo stesso tempo calorosa ed accogliente come la città eterna.
Il contesto lavorativo, invece, è parecchio triste.
La città è morta e sepolta sotto la coltre della PA, dello stato quindi. Migliaia e migliaia di società che quotidianamente, attraverso la loro tratta di schiavi, uccidono le speranze di tante giovani (e non) risorse – come vengono chiamate.
Non esiste l’innovazione tecnologia, anzi spesso ti ritrovi a lavorare su tecnologia vetusta (a parte qualche raro caso illuminato).
I freelance, almeno quelli che ho conosciuto io, i freelance veri, sono davvero pochissimi in giro. D’altronde fare i freelance in queste condizioni è proibitivo – e spesso non viene nemmeno concepito.
In questi giorni sono stato ad un passo dal tornare a Bologna: un lavoro con una tariffa elevata, in una realtà rinominata dello sviluppo .net, gold partner di microsoft (e gold partner seria).
Non è andata bene e mi stupisce il ritrovarmi qui a pensare che mi dispiaccia.
E’ vero, roma uccide i freelance