‘ndrangheta e Calabria: il gap generazionale

Molti pensano che la lotta alla ‘ndrangheta sia una lotta che debba essere portata avanti da tutti, calabresi in primis.

Questi ultimi giorni, in seguito alla notizia dell’arresto del boss Condello, sono stati molto particolari per noi reggini.
Ho notato che molti altri calabresi si sono abbastanza disinteressati della cosa, o comunque, forse, non sono risuciti a cogliere a pieno, cosa voglia dire questo arresto per noi di Reggio.

Ciò che però mi ha colpito più di tutto sono stati i diversi sentimenti con i quali abbiamo vissuto quest’arresto noi giovani, rispetto a quelli dei nostri genitori. Ricordo che quella sera ero in fermento, la notizia era quasi una bomba e ho iniziato a discuterne via MSN con alcuni amici. Eravamo abbastanza concordi che tutti questi arresti non siano poi tanto positivi ed è presto detto il motivo. La nostra città, la nostra società, è permeata dai geni della ‘ndrangheta: per noi, l’arresto di un boss, o di cento boss, cambia poco le cose. Noi la ‘ndrangheta la continuiamo a vedere un pò ovunque, sia nel vicolo buio e dimenticato della zona sud [o nord] della città, quanto in una qualsiasi piazza. Il problema del racket continua ad esistere; analogo discorso per il traffico di armi, di droga, degli appalti edilizi, ecc. ecc.

Se lo Stato crede che per sconfiggere la ‘ndrangheta basti arrestare i boss, allora si sbaglia di grosso. E’ un problema generazionale e va risolto dalla base, educando i bambini fin da quando escono dalla pancia della madre. In tal senso, mi trovo molto daccordo con la proposta della Commissione Antimafia, che avrebbe intenzione di togliere la patria potestà a tutti coloro i quali siano stati condannati per fatti di mafia (siano essi i boss o le loro mogli). Altro che sequestro dei beni: togliergli i figli sarebbe un qualcosa di gravissimo, che, allo stesso tempo, consentirebbe di recuperare generazioni e generazioni di giovani che, per un motivo o per un altro, finiscono nella rete della ‘ndrangheta.

Parlavo del gap generazionale: sì perchè, mentre noi giovani esprimevamo le nostre forti perplessità sull’arresto, i nostri genitori ne erano molto contenti. Ricordo che mio padre era molto soddisfatto, anche quando gli facevo notare che certe teste non cadono così, che c’è il rischio di un’altra guerra di mafia. Ma, forse, è proprio la guerra di mafia che genera questo differente sentimento in noi reggini.

Negli anni ’80 ero ancora piccolo, eppure la città era in guerra – una guerra che ha provocato in pochi anni più di 800 morti. Non sono pochi.
Ricordo quando non si poteva uscire, perchè stavano sparando sotto casa. Ricordo ancora bene la paura dei miei genitori nel lasciarmi solo per la città – tutti potevamo cadere sotto il fuoco della ‘ndrangheta.

Per me, però, sono solo ricordi. Loro, la guerra di mafia, l’hanno vissuta in pieno.
Avranno perso amici e conoscenti. Avranno realmente vissuto nella paura e nel terrore. E, forse, anche per questo erano felici che chi la provocò oggi è in carcere.

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